Le repentine modifiche alle normative riflettono la costante evoluzione della società e delle esigenze della giustizia, spesso tralasciate dai testi di legge e colmate dalla giurisprudenza dei tribunali.
Con il giungere dell’anno nuovo sono entrate in vigore alcune modifiche al Codice di procedura penale.
Nei prossimi articoli andremo ad analizzare gli aspetti più significativi, partendo da quello che apparentemente risulterebbe il più ingerente, ovvero il prelievo del profilo del DNA per valutare la commissione di reati ulteriori.
Secondo la giurisprudenza del Tribunale Federale che si è formata negli anni è possibile allestire un profilo del DNA non solo per accertare il reato oggetto del procedimento in corso, ma anche per accertare possibili crimini futuri. Sulla scorta quindi della giurisprudenza, il nuovo articolo 257 CPP, ammette, infatti, la possibilità di “disporre il prelievo di un campione e l’allestimento di un profilo di DNA se vi siano indizi concreti che il condannato possa compiere ulteriori crimini o delitti”. L’articolo parla di “condannato” e non di “imputato” perché l’unica autorità competente a predisporre questa assunzione è il giudice di merito, nella sua sentenza di condanna.
Questa possibilità, tuttavia, è ammessa solo laddove vi siano “seri indizi” ovvero elementi concreti che il condannato possa aver commesso un ulteriore reato. Pertanto non sarà un’ingerenza applicata di default ma vi via eccezionale e giocherà un ruolo fondamentale la prognosi sulla condotta futura della persona.